Mancano ormai poco più di due mesi all’inizio della stagione estiva e ancora non sappiamo se e quando potremmo noleggiare lettini e ombrelloni e soprattutto a quali prezzi.
Il caos concessioni balneari sembrava essere sulla via della soluzione con il decreto 131 del 2024, con il quale il legislatore aveva previsto una proroga generale delle concessioni demaniali fino al 30 settembre 2027 «al fine di consentire l’ordinata programmazione delle procedure di affidamento […] e il loro svolgimento nel rispetto del diritto dell’Unione europea», lasciando però agli enti locali la facoltà di avviare le gare prima della stessa data a condizione che queste rispettassero i criteri stabiliti dalla legge e che fossero adeguatamente motivate.
Tutto finito, quindi. E, invece, no e come in una serie televisiva: “to be continued”.
Una “serie” iniziata alla fine dell’800, quando l’uso delle spiagge era essenzialmente libero. Qualcuno, in quegli anni, però, intuì che l’accesso alle coste sarebbe stato sempre più strategico con lo sviluppo del turismo balneare. E, infatti, con la legge 1054 del 1900 lo Stato iniziò a regolamentare l’uso delle spiagge, concedendo a privati la possibilità di gestire porzioni di costa per attività turistiche e commerciali, come la gestione di stabilimenti balneari, alberghi, ristoranti e altre strutture.
Negli anni successivi le concessioni balneari furono regolate da leggi che stabilivano le modalità di assegnazione e di durata delle stesse e nel 1968 fu deciso che le concessioni per l’uso delle spiagge venissero attribuite attraverso gare pubbliche, anche se con la possibilità di rinnovi automatici.
Negli anni 2000, la questione delle concessioni balneari è diventata oggetto di attenzione anche a livello europeo e nel 2006, l’Unione Europea, con la cd. direttiva Bolkestein, ha obbligato gli Stati membri, in nome della concorrenza di mercato, a liberalizzare le spiagge pubbliche, che sono così divenute affidabili in concessione con gare pubbliche aperte a tutti gli operatori europei, con lo scopo di non violare le normative europee sulla concorrenza e la trasparenza. Principio confermato dalla sentenza del 2016 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha ribadito che il sistema italiano doveva essere riformato per garantire maggiore trasparenza.
Il dibattito sulle concessioni balneari è ormai sempre più acceso in Italia. Il sistema attuale, basato sulla gestione privata delle spiagge demaniali attraverso concessioni rinnovabili, è stato al centro di polemiche politiche ed economiche. Molti operatori del settore si oppongono alla fine del rinnovo automatico delle concessioni temendo che questo possa portare a una gestione più disorganizzata delle spiagge e penalizzare gli operatori già esistenti. Altri sostengono che l’introduzione di un sistema di gare per l’assegnazione delle concessioni permetterebbe di favorire la concorrenza e migliorare la qualità dei servizi.
Non essendoci una soluzione che possa garantire un equilibrio tra la protezione degli investimenti privati e la necessità di garantire un accesso equo e competitivo al bene pubblico rappresentato dalle spiagge, i vari attori della “storia infinita” hanno iniziato a muoversi separatamente. Poiché il decreto del 2024 consentiva agli enti locali di indire gare per le concessioni presenti sul loro territorio, molte giunte hanno confermato la scadenza delle concessioni demaniali marittime a fine 2024 e disposto le gare per l’assegnazione delle nuove concessioni, rilasciando agli affidatari uscenti solo un titolo temporaneo.
Molte regioni si sono mosse autonomamente come Lazio, Friuli, Puglia e alcune hanno rigettato i rilievi dei balneari alle loro decisioni. E’ il caso della Liguria, dove con una sentenza del TAR sono stati rigettati i ricorsi proposti da tre titolari di concessioni demaniali marittime contro la decisione della Giunta Comunale.
Il TAR della Liguria ha ritenuto, inoltre, del tutto legittima la decisione dell’Amministrazione comunale di prescrivere l’obbligo per il concessionario subentrante di indennizzare quello uscente per gli investimenti non ancora ammortizzati richiamando una recente pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea, che, “una volta scaduta la concessione, l’affidatario uscente dovrà cedere gratuitamente e senza indennizzo le opere non amovibili presenti nell’area demaniale ai sensi dell’art. 49 cod. nav”.
Il dialogo fra Italia e Unione Europea sul tema delle concessioni è in continuo sviluppo e proprio la questione degli indennizzi è tornata improvvisamente alla ribalta della cronaca politica. Tutto nasce dalle osservazioni della Commissione europea alla bozza del decreto italiano sugli indennizziai balneariche perderanno le gare per la propria concessione, in cui si chiedeva al governo italiano di concedere solo la copertura degli investimenti non ammortizzati.
Il Ministero del Turismo invece, attraverso le parole dl suo ministro, ha affermato che l’indennizzo sarà calcolato sì sugli investimenti effettuati e non ancora ammortizzati al termine della concessione, ma aggiungendo “l‘equa remunerazione sugli investimenti effettuati negli ultimi cinque anni”.
Il Ministro ha poi tentato anche un “coup de théâtre” aggiungendo che in caso di mancata adozione del decreto indennizzi attuativo del decreto infrazioni, gli importi dei canoni per le concessioni “saranno automaticamente aumentati del 10%“, affermando che “il totale complessivo dei canoni riscossi nel 2024 per concessioni con finalità turistico-ricreative” corrisponda a circa 84,4 milioni di euro. Cifra che può sembrare considerevole, ma che è assolutamente ridicola se la paragoniamo al giro d’affari stimato in 15 miliardi, come risulta da una previsione della Corte dei Conti che nel 2021 ha evidenziato, inoltre, che per le concessioni balneari ad uso turistico censite dal Sistema informativo del demanio marittimo lo Stato ha incassato per concessione tra 2016 e 2020 solo 8 mila euro medi all’anno, a fronte di un fatturato medio, secondo una ricerca commissionata dagli stessi balneari, di 260mila.
Un esempio su tutti: nel 2019 Flavio Briatore rivelò che il Twiga, pagava solo 17mila euro l’anno e che visti i profitti “dovrei versare almeno 100mila euro”.
Di fronte a tali cifre e a tali profitti siamo sicuri che gli attuali concessionari si accontentino dell’’indennizzo previsto dal Mit che a fronte degli enormi incassi anche per un solo anno lo fanno sembrare non più di una mancia? Accettare un indennizzo significherebbe rinunciare a qualunque forma di lotta sulle concessioni. Crediamo che il vero scopo della lotta di chi gestisce attualmente le concessioni balneari non sia l’indennizzo, ma che vogliano l’abolizione del sistema della decadenza automatica e delle successive gare pubbliche.
I balneari difenderanno “con i denti” e con tutti gli strumenti legittimi possibili, l’estensione della durata delle concessioni balneari al più a lungo possibile, se necessario anche mediante l’approvazione di una nuova norma, per evitare, inoltre, quelle eventuali disparità di trattamento secondo il territorio comunale nel quale ricade il bene demaniale dovute alla giungla di decisioni prese dalle diverse giunte.
Se ciò non fosse possibile, bisognerà pensare a soluzioni estreme, considerando l’opportunità di proporre una formale sdemanializzazione di una parte dei beni demaniali, assicurando l’esistenza di un adeguato numero di spiagge libere e attrezzate. Inoltre nel nome della tutela del fondamentale diritto di proprietà, proporre l’abrogazione dell’articolo 49 del Codice della navigazione che prevede l’incameramento dei beni e delle strutture balneari alla scadenza della concessione.
Se i balneari sono pronti a tutto questo, è sicuro Salvini che l’indennizzo sia la strada politica giusta?