Roma 15/3, la voglia di Europa unità attraversa le generazioni

Voglia di Europa, voglia di partecipazione, questa è stata la piazza piena di donne e uomini di tutte le età che il 15 marzo ha manifestato, pacificamente, per chiedere ai vertici dell’Unione Europea di diventare qualcosa di molto di più dell’entità capace solo di dare indicazioni economiche, intervenire nelle tradizioni gastronomiche dei Paesi membri per vietare questo o quel prodotto o imporre svolte green che la maggior parte delle famiglie non possono permettersi: è ora che gli Stati Uniti d’Europa diventino una entità politica capace di far sentire la propria voce e le proprie ragioni nello scenario internazionale (velocemente) modificato caratterizzato da conflitti che vedono l’Europa come semplice spettatore.

L’arrivo di Trump alla Casa Bianca sta dando vita a un nuovo corso e a nuovi equilibri. La minaccia di uscire dalla NATO, la voglia di assoggettare al controllo degli Stati Uniti il Canada, la Groenlandia e il Golfo del Messico, non sono solo boutade, ma danno una chiara indicazione della voglia di nuovo imperialismo, accompagnata anche all’idea che l’America abbia deciso di “scaricare” i suoi tradizionali alleati, mettendo in discussione la sua disponibilità “militare” per proteggerli, anche con le tante basi americane sparse in tutta Europa, con i relativi condizionamenti di carattere politico che ne sono conseguiti.

Tale decisione  sta spingendo questi Paesi a rivedere le proprie strategie militari e soprattutto le spese interne per gli armamenti, mettendo in evidenza le forti differenze che, ancora una volta, gravano sulla capacità dell’Unione Europea di fornire una risposta netta, chiara, univoca e, sì, all’unanimità.

Sicuramente qualcuno dello staff presidenziale americano avrà pensato che in questo momento chiudere un patto con la Russia di Putin potrebbe essere più vantaggioso che continuare a sostenere un’Europa eternamente indecisa e incapace di parlare una sola lingua (basti ricordare la frase famosa attribuita a Kissinger: “Quando devo parlare con l’Europa, chi devo chiamare?”), e tale scelta potrebbe anche porre un freno agli accordi Mosca-Pechino.

L’idea di Europa nata dopo la seconda guerra mondiale negli ultimi venti anni si è consolidata e l’Unione si è allargata fino ad arrivare a 28 Stati, pensando di poter abbracciare anche la Turchia… Poi con la Brexit ha perduto gli inglesi, e addirittura in Paesi tradizionalmente socialdemocratici quali Svezia, Germania, Austria e Danimarca le politiche volte principalmente ai bisogni civili e poco ai bisogni sociali, si è assistito e si sta assistendo a rigurgiti di nazionalismo soprattutto a causa di una gestione del fenomeno dell’immigrazione poco chiara.

La stessa difficoltà decisionale che caratterizza l’Unione Europea vale per l’Italia: in risposta a una piazza pacifica, ordinata e a vocazione europeista l’opposizione ha trovato il modo di dividersi perdendo una straordinaria occasione per avviare un ragionamento “finalmente” comune in politica internazionale.

Per noi ragazzi degli anni Cinquanta e Sessanta cresciuti con il mito americano, alimentato dai film di John Wayne, dal ricordo dello sbarco degli americani a Dunkerque e la conseguente liberazione dal nazismo, dalle battaglie civili di Martin Luther King e dalla dinastia dei Kennedy, le attuali scelte dell’amministrazione Trump rappresentano un duro colpo alla nostra storia.