Referendum/5. Sì, chi nasce e cresce in Italia è italiano e fa crescere l’Italia

Il quinto quesito referendario, scheda gialla, è l’unico che non riguarda il mondo del lavoro. Affronta, infatti, un tema delicato e dibattuto: la cittadinanza italiana. Questo quesito è stato proposto in particolare da gruppi e associazioni che si battono per una maggiore inclusività e per la riforma dell’attuale legge sulla cittadinanza, considerata da molti troppo restrittiva e non al passo con i tempi.

La legge 91 del 1992 attualmente in vigore, si basa principalmente sul principio dello “ius sanguinis” (diritto di sangue): si è cittadini italiani se si nasce da almeno un genitore italiano. Ottenere la cittadinanza da parte di stranieri, anche se nati e cresciuti in Italia, è invece molto complicato. La legge, infatti, dice che i figli d’immigrati nati in Italia non ottengono automaticamente la cittadinanza e possono richiederla solo al compimento del 18° anno di età, e solo a precise condizioni. Ad aggravare questa situazione ci si mette anche l’amministrazione pubblica. I tempi burocratici per la naturalizzazione sono, infatti, lunghissimi: ci vogliono fino a 4 anni solo per avere una risposta alla domanda.

Immagine generata con l’aiuto di Leonardo AI

L’obiettivo del referendum è cancellare o modificare parti della legge 91 del 1992 che ostacolano l’accesso alla cittadinanza. In particolare, abrogare la norma che prevede il requisito dei dieci anni di residenza, riducendo, di fatto, a cinque anni il termine minimo richiesto; eliminare il riferimento all’adozione, in modo da estendere automaticamente il diritto alla cittadinanza anche ai figli minorenni dei nuovi cittadini, indipendentemente dal modo con cui sono entrati nel nucleo familiare.

Le modifiche vogliono semplificare l’accesso alla cittadinanza per chi nasce e cresce in Italia, anche se da genitori stranieri promuovendo l’inclusione e l’integrazione di persone che vivono stabilmente nel Paese, che, di fatto, vivono come cittadini italiani, ma sono esclusi giuridicamente. Modernizzare una legge ritenuta obsoleta e distante dalla realtà multiculturale dell’Italia attuale, riducendo i tempi e le barriere burocratiche. Introdurre uno “ius soli temperato” o un “ius culturae”, cioè il diritto alla cittadinanza legato alla nascita sul territorio italiano o al completamento di un ciclo scolastico, come accade attualmente in altri paesi.

Per chiarire meglio la gravità della posizione di chi vorrebbe diventare cittadini del nostro paese, basta dare un’occhiata a ciò che accade negli altri paesi. Un confronto con i soli paesi europei dimostra che in Europa le leggi sulla cittadinanza variano molto da paese a paese, ma negli ultimi decenni molti Stati hanno modificato le norme per adattarsi a società più multiculturali. Rispetto all’Italia, che si basa ancora fortemente sullo ius sanguinis, molti Paesi adottano forme più inclusive come lo ius soli (diritto del suolo) o lo ius culturae (diritto legato all’integrazione culturale o scolastica).

L’Italia è uno dei Paesi con il percorso più lungo e il sistema meno inclusivo sia in termini di naturalizzazione che di ius soli. In Francia ad esempio la cittadinanza può essere acquisita automaticamente alla maggiore età se si è nati in Francia da genitori stranieri e vi si è vissuto almeno cinque anni tra gli undici e i diciotto anni. La naturalizzazione possibile dopo cinque anni di residenza legale (2 se si è studiato in Francia).

In Germania, invece, i bambini nati nel paese da genitori stranieri possono ottenere la cittadinanza se almeno un genitore risiede da otto anni legalmente e ha permesso di soggiorno a lungo termine. Dallo scorso anno, la Germania ha ulteriormente semplificato l’accesso alla cittadinanza.

In Belgio, i bambini nati in Belgio da genitori stranieri possono ottenere la cittadinanza se uno dei genitori ha cinque anni di residenza. La naturalizzazione è possibile dopo cinque anni, con prova d’integrazione (lingua, lavoro o studio).

Grazie alla raccolta digitale delle firme, ne sono state raccolte oltre 500.000, superando la soglia necessaria per proporre il referendum. Se il quesito dovesse essere approvato, secondo le stime dei promotori, questa riforma potrebbe interessare tra 2,3 e 2,5 milioni di cittadini di origine straniera, oltre a circa 500.000 loro figli minorenni che, in questo Paese, non solo nascono e crescono, ma da anni vi abitano, lavorano e contribuiscono alla sua crescita.