Fumata rossa, in piazza San Pietro è ora di spending review?

I cardinali sono stati veloci. Il Conclave è iniziato e si concluso in due giorni con l’elezione del papa Leone XIV da parte del Consiglio di Amministrazione più famoso al mondo. Secondo i vaticanisti, prima della fatidica fumata bianca, dal camino sarebbero dovute uscire diverse fumate nere. Bianco, nero, ma c’è anche il rosso fra i colori dominanti in questi tempi all’interno della Santa Sede che non affronta una situazione finanziaria tranquilla, bensì caratterizzata da deficit crescenti e una gestione economica tutt’altro che positiva.

L’ultimo bilancio del Vaticano, quello del 2023, ha registrato un disavanzo operativo di circa 83 milioni di euro, con entrate pari a 1.152 milioni di euro. Per il 2025, le previsioni dicono che la situazione sembra in miglioramento con un deficit di circa 70 milioni di euro anche se con numeri decisamente più preoccupanti rispetto agli anni precedenti.

Ma quali sono i “capitoli di spesa” del Vaticano?

Una grande fetta di tutte le spese, più del 20%, riguarda la Curia Romana e quindi stipendi per cardinali, vescovi, funzionari e laici. In tutto oltre 3.000 dipendenti. Per affrontare queste difficoltà, Papa Francesco ha implementato diverse misure, tra cui la riduzione dei salari dei cardinali, anche se l’aumento del loro numero ha in parte ridimensionato questa misura. Oltretutto, come immaginiamo, e come accade in qualunque Consiglio di Amministrazione di una società, queste iniziative hanno incontrato resistenze interne e non sono state sufficienti a invertire la tendenza negativa. Sempre a questa voce appartengono le uscite per pensioni e assistenza, circa il 10%.

Anche le ambasciate vaticane, le Nunziature apostoliche, e i costi della gestione delle missioni diplomatiche, circa 180 rappresentanze nel mondo, costituiscono una voce di spesa abbastanza alta. Una voce il cui peso è quasi paragonabile a un’altra: le attività pastorali e missionarie, come l’Elemosineria Apostolica (aiuti diretti ai poveri), il sostegno a diocesi lontane, evangelizzazione.

Altre spese che il Vaticano deve affrontare quotidianamente riguardano la comunicazione (Radio Vaticana, Vatican News, Osservatore Romano, e altri media ufficiali), la sicurezza fisica in collaborazione con la Gendarmeria vaticana e la Guardia Svizzera anche in occasione dei viaggi del Papa, Sinodi, Giubilei, quella informatica e quella legale: misure per garantire trasparenza e protezione contro le frodi. Proprio su quest’ultima voce sono stati investiti ulteriori fondi per evitare il ripetersi dello scandalo del fondo londinese.

Le spese del Vaticano non riguardano, però solo le attività religiose, amministrative e diplomatiche della Santa Sede bensì molte sono quelle legate alla Città del Vaticano come entità statale.

Anche se è uno degli stati più piccoli del mondo, le spese amministrative per le attività civili ammontano a circa il 22 per cento del totale, e quindi più di 250 milioni di euro. Le principali voci riguardano la manutenzione e restauro dei Musei Vaticani, Cappella Sistina, Basilica di San Pietro e per il restauro e la conservazione del patrimonio. Costi elevatissimi cui si aggiungono la logistica e sicurezza per milioni di visitatori l’anno che all’attivo rappresentano una delle principali entrate della Santa Sede, specialmente dopo la fine della pandemia, che a detta di molti “dirigenti” del Vaticano sarebbe stata una delle principali cause del deficit della Santa Sede.

Altre spese del piccolo stato riguardano i servizi pubblici come energia, acqua, trasporti interni e la Sanità e la farmacia vaticana. Altre voci che negli ultimi anni hanno subito un’impennata sono quelle che riguardano la gestione finanziaria che ha generato perdite significative a causa d’investimenti sbagliati e quella dei contenziosi legali: cause civili o penali, spesso legate a scandali finanziari o abusi su cui Papa Francesco ha acceso i riflettori con la reazione spesso molto dura di alcuni rappresentanti della Curia.

A determinare il deficit hanno contribuito anche le entrate tradizionali del Vaticano che hanno subito un calo significativo. Ad esempio, l’Obolo di San Pietro, una delle principali fonti di finanziamento derivante dalle donazioni dei fedeli, è diminuito del 51% nel 2023, passando da 107 a 52 milioni di euro. Anche l’8 per mille destinato alla Chiesa cattolica è sceso sotto il miliardo di euro per la prima volta.

Il Vaticano spera che eventi come il Giubileo del 2025 possano aumentare le entrate attraverso il turismo e le donazioni. Tuttavia, molti esperti ritengono che questi introiti potrebbero non essere sufficienti a coprire il deficit esistente. La Santa Sede si trova in una fase critica dal punto di vista finanziario.

Per il nuovo Papa si prospetta un futuro abbastanza controverso con la necessità di adottare misure strutturali per affrontare il crescente disavanzo e garantire la stabilità economica. Fra le decisioni più severe per garantire la sostenibilità finanziaria a lungo termine potrebbe esserci la vendita di parte del patrimonio immobiliare o la riduzione delle attività caritative e diplomatiche.

E se il nuovo Papa stabilisse una “classica” riduzione del personale? Forse, in questi giorni, il Conclave, oltre a decidere il nome, si è assicurato che il nuovo Capo della Chiesa Cattolica sia una figura che non prenderà mai una decisione del genere.