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C’era un tempo in cui il comunismo e l’Unione Sovietica erano percepiti come minacce dirette alla sicurezza e ai valori democratici degli Stati Uniti. Dalla fine della Prima Guerra Mondiale, passando per la Guerra Fredda e fino alla fine del XX secolo, la paura “dei rossi” è stata alimentata da campagne di comunicazione anti-comuniste, coinvolgendo politica, media e cultura popolare.
Un esempio lampante è stato il McCarthyismo, movimento che prende il nome da Joseph McCarthy, senatore repubblicano del Wisconsin. Negli anni ’50 e ’60, McCarthy ha guidato una vera e propria caccia alle streghe, perseguitando persone accusate di simpatie comuniste senza prove concrete. Grazie ai media, ha alimentato sospetti e paranoia, creando un clima di terrore basato sull’idea che qualsiasi inclinazione comunista fosse un tradimento dei valori americani.
Anche la CIA, in particolare durante la guerra del Vietnam, ha finanziato e diffuso materiali di propaganda anti-comunista, tra cui manifesti, filmati e pubblicazioni. L’obiettivo era convincere gli americani della pericolosità dell’influenza sovietica su scala globale: se un Paese fosse caduto sotto il controllo comunista, altri avrebbero seguito lo stesso destino. Questa visione ha giustificato l’intervento statunitense in diverse parti del mondo.
Serie televisive, film, romanzi e altre forme di intrattenimento hanno contribuito a diffondere l’immagine del comunismo come nemico mortale da combattere. Film come Red Dawn (1984), che immaginava un’invasione sovietica degli Stati Uniti, e The Manchurian Candidate (1962), incentrato su un complotto comunista, riflettono bene l’atmosfera di paranoia di quegli anni.
Di cosa avevano paura gli americani? La paura del comunismo negli Stati Uniti affonda le sue radici in una cultura profondamente influenzata dalla Guerra Fredda. Il comunismo rappresentava un sistema politico ed economico radicalmente opposto al capitalismo e alla democrazia liberale americana, ideali fondanti della società statunitense. Al tempo stesso, i governi comunisti, in particolare l’Unione Sovietica, erano caratterizzati da regimi autoritari che minavano libertà individuali e diritti umani.
Il modello sovietico si basava su un’economia centralizzata e protezionista, con un forte controllo statale su politica, economia e media, in contrasto con il libero mercato e la democrazia occidentale. Ma se questo accadeva in Russia, possiamo dire che la situazione odierna negli Stati Uniti sia davvero così diversa? Vediamo perché.
Negli ultimi tempi, molte delle politiche promosse da Donald Trump, sia nel primo mandato sia dopo pochi mesi dalla sua elezione per il Trump 2, hanno sollevato dubbi su diritti umani, libertà individuali e democrazia. Ad esempio:
• ha tentato di smantellare l’Affordable Care Act, riuscendo a eliminare il mandato individuale (l’obbligo di avere un’assicurazione sanitaria);
• ha promosso politiche di “legge e ordine”, sostenendo fortemente la polizia e criticando i movimenti per la giustizia sociale, opponendosi alle proteste e manifestazioni;
• ha imposto il divieto di viaggio per diversi Paesi a maggioranza musulmana, limitando l’ingresso di rifugiati e rendendo più difficile la richiesta di asilo politico;
• ha consolidato il muro al confine con il Messico (muro 1100 chilometri la cui costruzione è iniziata con la presidenza di Bush senior all’inizio degli anni ’90) e introdotto la politica di “tolleranza zero”, che ha portato alla separazione delle famiglie dei migranti.
• ha reintrodotto il divieto per le persone transgender di prestare servizio nell’esercito e ha annullato normative che proibivano la discriminazione basata su orientamento sessuale e identità di genere nel settore sanitario e lavorativo.
Un discorso a parte riguarda i licenziamenti nel settore pubblico. Elon Musk, nominato da Donald Trump a capo del Dipartimento per l’Efficienza Governativa (DOGE), ha avviato una serie di licenziamenti nel settore pubblico, con l’obiettivo di ridurre la spesa federale. Il Presidente dell’American Federation of Government Employees ha criticato la decisione, definendola un “totale disprezzo per i dipendenti federali e per i servizi critici che essi forniscono al popolo americano”. Un giudice federale del Maryland ha poi dichiarato incostituzionale tale misura, ordinando la sospensione delle riduzioni di personale e sollevando interrogativi sulla loro legittimità e sostenibilità a lungo termine.
Così come, un discorso a parte meritano le decisioni su protezionismo e politica economica che tanto clamore e giuste preoccupazioni stanno suscitando a livello mondiale. L’approccio economico di Trump è stato guidato dal principio di “America First”, favorendo gli interessi economici e politici degli Stati Uniti anche a scapito delle tradizionali alleanze. Tra le sue misure:
• ha imposto tariffe protezioniste su acciaio, alluminio e altri beni importati, specialmente dalla Cina;
• ha introdotto dazi su prodotti provenienti da Messico, Canada e Unione Europea;
• ha rinegoziato accordi di libero commercio che riguardavano il Nord America e il Messico;
• ha ritirato gli Stati Uniti da accordi e organizzazioni internazionali, tra cui l’Accordo di Parigi sul clima, l’accordo nucleare con l’Iran (JCPOA) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ritenendo che questi trattati non fossero vantaggiosi per gli USA;
• ha favorito l’industria del carbone, petrolio e gas naturale, riducendo le regolamentazioni ambientali per espandere la produzione di energia non rinnovabile.
Tutto ciò porta a fare delle riflessioni. Gli Stati Uniti si sono sempre presentati come il baluardo della democrazia e del libero mercato, ma le politiche recenti dimostrano come anche in America si possano mettere in discussione libertà fondamentali e diritti individuali. Il mondo è cambiato, e con esso anche le paure. Forse oggi, più che il comunismo, il vero pericolo è l’erosione dei principi democratici che hanno reso gli Stati Uniti quello che sono.
That’s America!