Forse non ce n’era bisogno, ma anche in questi ultimi giorni si è avuta la conferma della distanza esistente tra chi è in Parlamento a legiferare e chi vive ogni giorno la propria vita reale lavorando e facendo i conti con difficoltà, anche economiche, sempre più evidenti.
Mentre l’OIL, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, diffondeva i dati sulle retribuzioni reali dei Paesi del G20, con l’Italia a scoprirsi come quello dove queste retribuzioni sono scese di più dal 2008 a oggi, con un calo dell’8,7%, l’ex Ministro PD Dario Franceschini spiegava al Senato l’intenzione di presentare un disegno di legge per dare ai figli solo il cognome della madre.
Dopo aver letto questa notizia, la prima reazione sarebbe stata quella di voler chiedere a Franceschini: “Ma davvero fai?”, come si dice a Napoli, con un misto di incredulità e perplessità, ma subito dopo, riflettendoci bene, la considerazione, amara, che è emersa è stata quella di vedere confermata ancora una volta la scelta strategica (e fortemente perdente) di quella che si definisce sinistra moderata di scegliere di occuparsi di pseudo diritti civili lasciando ad altri la difesa dei diritti sociali.
Stiamo vivendo una fase cruciale della politica mondiale con guerre in atto e con un’Europa che stenta a trovare un ruolo nello scenario che si è delineato; di questo stato di cose ovviamente gran parte dell’economia ne risente in maniera negativa e, a cascata, anche le tasche di famiglie e imprese. E in tutto ciò si sta pensando a un disegno di legge che attribuisca ai figli il cognome della madre per recuperare “una ingiustizia secolare che ha avuto non solo un valore simbolico, ma è stata una delle fonti culturali e sociali delle disuguaglianze di genere”.
Che dire, allora, degli stipendi, che nel corso di questi anni hanno avuto aumenti contrattuali non certo in linea con gli aumenti dei prezzi. I tagli del cuneo fiscale che si sono registrati negli ultimi 5 anni non sono riusciti a compensare né l’impennata dei prezzi al consumo (nello stesso periodo cresciuti del 20%) né l’aumento delle tasse che nel nostro Paese penalizza quasi esclusivamente i percettori di reddito fisso, come salariati e pensionati.
Non è questo il modo per affrontare una (seria) battaglia per la parità di genere. Restando in tema di retribuzioni (Rapporto INPS sulle retribuzioni pubblicato a settembre 2024), ad esempio, ci si accorge facilmente che la retribuzione media lorda dei lavoratori dipendenti è pari a 28.766 euro, mentre per le lavoratrici dipendenti supera di poco i 22.000 euro.
Ed è su temi come questo che ci si aspettano battaglie in Parlamento per superare questa assurda anomalia, non proposte per aggiungere o togliere un cognome.