L’8 e il 9 giugno 2025 in Italia si torna a votare. Infatti, in Italia si terranno cinque referendum abrogativi su temi legati al lavoro e alla cittadinanza. Le votazioni si svolgeranno domenica 8 giugno dalle 7 alle 23 e lunedì 9 giugno dalle 7 alle 15. Possono votare anche i cittadini italiani residenti all’estero e iscritti all’AIRE che riceveranno il plico elettorale per votare per corrispondenza. Perché ciascun referendum sia valido, è necessario che partecipi al voto almeno il 50% più uno degli aventi diritto. In caso contrario, il risultato non avrà effetti sulla normativa italiana.
Quali sono i temi sui quali saremo chiamati a dare il nostro parere?

Il primo riguarda la tutela contro i licenziamenti illegittimi. La proposta è di abrogare le norme del Jobs Act che limitano la reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, ripristinando le tutele precedenti. Gli altri referendum riguardano l’indennità di licenziamento nelle piccole imprese, le norme che facilitano l’utilizzo dei contratti a tempo determinato, la responsabilità solidale negli appalti e la riduzione da dieci a cinque anni il periodo di residenza legale necessario per i cittadini non comunitari per richiedere la cittadinanza italiana.
Per esaminare il primo referendum più nei dettagli iniziamo con l’analizzare cosa succede oggi dopo l’introduzione del Jobs Act nel 2015. La tutela contro i licenziamenti illegittimi si riferisce alla protezione dei lavoratori nel caso in cui vengano licenziati senza una giusta causa o giustificato motivo, cioè in modo illegittimo secondo la legge e attualmente nella maggior parte dei casi, se il giudice riconosce che il licenziamento è illegittimo, il lavoratore non viene reintegrato nel posto di lavoro. Il datore di lavoro, in questi casi deve solo pagare un’indennità economica, che è limitata e predeterminata.
Il referendum propone di abrogare (cioè di cancellare) le parti del Jobs Act che limitano la reintegrazione del lavoratore. Quindi, se vince il “SI”, si tornerebbe alla situazione precedente: in caso di licenziamento illegittimo, il giudice può obbligare il datore di lavoro a riassumere il lavoratore (cioè reintegrarlo nel suo posto). Questa tutela è sicuramente più forte poiché il reintegro è sicuramente un indennizzo più vantaggioso per il lavoratore rispetto a un’indennità in denaro per quanto alta, e renderebbe più difficile per un’azienda licenziare ingiustamente, perché le conseguenze sarebbero più gravi. Per fare un esempio pratico, attualmente un lavoratore licenziato senza motivo potrebbe ricevere solo, ad esempio, sei mensilità di stipendio, con il ritorno alle norme ante Jobs Act il datore di lavoro potrebbe essere costretto a riassumerlo e a pagargli anche tutti gli stipendi arretrati.
Il referendum qualunque sia il risultato della votazione incide sulle norme che riguardano unicamente il licenziamento illegittimo e quindi non motivato da giusta causa, come ad esempio un furto in azienda, violenza sul luogo di lavoro o una grave insubordinazione o anche un giustificato motivo soggettivo, quindi per colpa del lavoratore. Alcuni esempi di questa infrazione riguardano fra gli altri, ripetuti ritardi, scarso rendimento documentato o anche l’inosservanza delle regole aziendali. Altre situazioni non oggetto del referendum riguardano motivi congiunturali quali, crisi economiche o anche ristrutturazioni aziendali per le quali sono previste altre forme di garanzia per i lavoratori.
Un licenziamento è, invece, definito illegittimo se non ci sono le ragioni che abbiamo descritto, se il motivo indicato è falso, pretestuoso o sproporzionato o anche se il datore non rispetta le procedure previste dalla legge.
Riassumendo cosa cambia con il referendum, se vince il SI? Sono rafforzate le tutele per i lavoratori in caso di licenziamento ingiusto. Con la cancellazione della parte del Jobs Act che ha ridotto la reintegrazione, consentendo al giudice più libertà di valutare caso per caso e ordinare la reintegrazione o il risarcimento pieno, senza tetti.
Se vincesse il SI, torna la possibilità per il giudice di reintegrare il lavoratore in molti più casi. Oggi la reintegrazione è quasi scomparsa, tranne che nei casi più gravi. L’indennizzo non sarebbe più fisso con limiti minimi e massimi stabiliti, ma sarebbe valutato in base al danno effettivo come ad esempio la durata della disoccupazione o la difficoltà a trovare un altro lavoro con il risultato che il datore di lavoro sarebbe più cauto nel licenziare senza basi solide specialmente nei casi di categorie di lavoratori più deboli come donne e stagionali.