Europei chiamano Europa, migliaia in piazza a Roma

Cinquantamila, trentamila. Quanto in realtà fossimo sabato 15 marzo, eravamo abbastanza per riempire veramente Piazza del Popolo a Roma.

Niente  bandiere di partito, la società  civile presente con i sindacati, le Acli, l’Anpi, Sant’Egidio, 80 sindaci, compreso quello di Barcellona, una donna scampata dal massacro dell’Ucraina.  Molte le testimonianze del mondo della disabilità  e tanti giovani come i due ventenni di Parma,  promotori del premio una piazza per l’Europa. 

Non c’erano solo i boomers sessantottini quindi, anche se erano anagraficamente prevalenti. È  stata definita una manifestazione pre-politica, a tratti  romantica, di innamorati dall’Europa,  della sua idea, la stessa del manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi.

“Noi non invadiamo i paesi vicini, noi non cacciamo chi viene, lo abbiamo fatto da fascisti, non lo ripeteremo mai più in futuro da europei” ha detto Antonio Scurati. 

Ma il lunedì successivo, il 17 marzo, Ursula Von der Lyen  ha gelato le aspettative di noi e di tutti i romantici europei. Entro il 2030 l’Europa dovrà essere pronta a entrare in guerra. Insomma l’annuncio dei giorni precedenti (800 miliardi per spese militari) viene ribadito e confermato. Ottant’anni di pace è  stato il massimo consentito ai 27 paesi dell’Unione,  che non hanno saputo trovare una coesione politica ed economica tale da parlare con una sola voce su fisco, istruzione, e, soprattutto, difesa.

Ora il re è  nudo perché ogni Paese ha un pezzo del vestito. Il paradosso è  che la somma della spesa militare delle singole nazioni è  di 547,5 miliardi (esclusi Gran Bretagna, Turchia e Norvegia)  cioè  1,95 del PIL europeo, che è  il 18,6 per cento in più  di quello della Russia.

E noi? Noi che abbiamo l’articolo 11 della Costituzione che recita: “l’Italia ripudia la guerra”, già  spendiamo 29,161 miliardi  ( 1,54 del pil) di euro , con una crescita prevista nel 2027 dell’1,61%. Ma la richiesta, si Sto arrivando!, è  di arrivare al 2% in tempi brevi ( per cui mancherebbero 11 miliardi l’anno) .

È  realistico pensare a queste cifre per un Paese indebitato di quasi  30mila miliardi, con una caduta demografica e un invecchiamento della popolazione? Il mantra è  diventato “tutto a debito”. Pensate se fosse una famiglia a ragionare così! 

Invece ragioniamo da formiche giudiziose e continuiamo a essere un Paese tra i più risparmiosi. Molte di queste “formiche” erano a Piazza del Popolo, hanno mandato i figli a studiare con l’Erasmus, credono a un’Europa multirazziale, multireligiosa, multietnica. E sognare, per fortuna, non è ancora vietato e aiuta a vivere.