L’Italia si trova in un momento delicato nella sua lotta contro la povertà: lo certifica il rapporto Istat «Reddito e condizioni di vita» sugli anni 2023-2024. Nel 2024 il 23,1% della popolazione italiana (circa 13,5 milioni di persone) è a rischio di povertà o esclusione sociale, mentre nel 2023 la percentuale era leggermente più bassa (22,8%).
Analizzando i dati forniti da Eurostat, Istat, Caritas e Alleanza contro la Povertà, emerge un quadro preoccupante che evidenzia una vulnerabilità significativa rispetto ad altri paesi dell’Unione Europea.
Secondo i più recenti dati Eurostat (relativi al 2023), l’indicatore AROPE (At-Risk-of-Poverty or Social Exclusion) in Italia si attesta su livelli di allerta. Questo indicatore complesso, che include il rischio di povertà monetaria, la grave deprivazione materiale e sociale e la bassa intensità lavorativa, dipinge un’immagine di fragilità sociale che merita un’analisi approfondita. Da questi dati emerge la fotografia di un’l’Italia che rimane tra i paesi con le percentuali più elevate di popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale nell’UE.

Il confronto con gli altri Stati membri è impietoso. Paesi come Romania e Bulgaria continuano a registrare tassi più elevati, ma anche confrontandosi con le grandi economie europee, l’Italia mostra una resilienza inferiore. La Germania, ad esempio, presenta un tasso AROPE significativamente inferiore, così come i paesi del Nord Europa. Questa disparità non è solo una questione statistica, ma si traduce in concrete difficoltà per milioni di italiani che faticano a soddisfare i bisogni primari e a partecipare pienamente alla vita sociale ed economica.
I dati Istat confermano questa tendenza, evidenziando una povertà assoluta che nel 2023 ha interessato l’8.4% delle famiglie e il 9.7% degli individui. Questo dato, stabile rispetto all’anno precedente, non deve ingannare: si tratta di numeri elevatissimi che testimoniano l’incapacità di una parte significativa della popolazione di accedere a beni e servizi essenziali. La povertà relativa, pur mostrando una leggera stabilità, coinvolge un’ulteriore fetta consistente della società.

Le analisi di Caritas e Alleanza contro la Povertà aggiungono un ulteriore livello di profondità a questi numeri. Caritas, attraverso la sua capillare rete di osservazione sul territorio, documenta un aumento delle nuove povertà, spesso legate alla precarietà del lavoro, alla perdita di impiego e all’aumento dei costi della vita, in particolare per l’energia e i beni alimentari. L’Alleanza contro la Povertà, attraverso le sue proposte politiche e i suoi monitoraggi, sottolinea come le misure di contrasto alla povertà attuate finora non siano state sufficienti a invertire la rotta in modo strutturale.
Un aspetto particolarmente allarmante è la povertà infantile. I dati Istat e le analisi di Save the Children (spesso riprese anche da Caritas e Alleanza contro la Povertà) mostrano come una percentuale inaccettabile di bambini e adolescenti in Italia viva in condizioni di deprivazione, con ripercussioni negative sul loro sviluppo fisico, cognitivo e sociale. Questo non solo compromette il presente di questi giovani, ma rischia di perpetuare il ciclo della povertà nelle generazioni future.
Il divario territoriale rimane una costante preoccupante in queste analisi. Il Mezzogiorno continua a registrare i tassi di povertà più elevati, anche se negli ultimi anni si è assistito a un aumento significativo della povertà che riguarda le regioni del Nord, a causa della crisi economica e delle trasformazioni del mercato del lavoro. Questo suggerisce che la vulnerabilità economica non è più confinata alle aree tradizionalmente svantaggiate.
Il confronto con gli altri paesi dell’Unione Europea evidenzia una fragilità strutturale che richiede interventi urgenti e coordinati che riduca il gap che si è creato tra chi ha e chi non ha o ha poco. È necessario un ripensamento delle politiche sociali e del lavoro, con misure che non si limitino all’assistenza emergenziale, ma che promuovano l’inclusione sociale, la creazione di lavoro dignitoso e la riduzione delle disuguaglianze. Ignorare questi segnali significherebbe condannare una parte crescente e consistente della popolazione a un futuro di precarietà e marginalizzazione, minando la coesione sociale e il potenziale di crescita dell’intero paese nel contesto europeo.